domenica 31 gennaio 2010

Rivoluzioni industriali

Rivoluzioni industriali
di Roberto Maurizio

Definizione
Rivoluzione industriale, usata per la prima volta negli anni venti del XIX Secolo (1800), è stata modellata in analogia con il termine Rivoluzione francese (tesi sostenuta da Raymond Williams) ed è stata citata, secondo lo storico Fernand Braudel, nel 1837, dall'economista francese Adolphe Blanqui, fratello del celebre rivoluzionario Auguste Blanqui. Fu però definitivamente consacrata solo nel 1884 da Arnold Toynbee con la pubblicazione delle sue Conferenze sulla rivoluzione industriale in Inghilterra. Fu tra l'altro utilizzata in precedenza da: Karl Marx ne Il Capitale (1867); John Stuart Mill nei suoi Principi (1848); Friedrich Engels ne La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845). Il termine rivoluzione sta a rappresentare un totale cambiamento nella società o in alcuni suoi aspetti, come ad esempio in rivoluzione scientifica. Il termine industria è antichissimo ma è solo alla fine del Settecento che acquista l'accezione di "settore manifatturiero", sebbene già al 1713 si può far risalire l'inizio della decadenza della protoindustria quando John Lombe fondò uno stabilimento dotato di una macchina per lavorare la seta, impiegandovi ben 300 operai. Per rivoluzione industriale si intende un processo di evoluzione economica che da un sistema agricolo-artigianale-commerciale porta ad un sistema industriale moderno caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come ad esempio i combustibili fossili). Spesso si distingue fra prima e seconda rivoluzione industriale. La prima riguarda prevalentemente il settore tessile-metallurgico e comporta l'introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore; il suo arco cronologico è solitamente compreso tra il 1760-1780 ed il 1830. La seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1870-1880, con l'introduzione dell'elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Talvolta ci si riferisce agli effetti dell'introduzione massiccia dell'elettronica e dell'informatica nell'industria come alla terza rivoluzione industriale, che viene fatta partire dal 1970. La rivoluzione industriale comporta una profonda ed irreversibile trasformazione che parte dal sistema produttivo fino a coinvolgere il sistema economico nel suo insieme e l'intero sistema sociale. L'apparizione della fabbrica e della macchina modifica i rapporti fra gli attori produttivi. Nasce così la classe operaia che riceve, in cambio del proprio lavoro e del tempo messo a disposizione per il lavoro in fabbrica, un salario. Sorge anche il capitalista industriale, imprenditore proprietario della fabbrica e dei mezzi di produzione, che mira ad incrementare il profitto della propria attività.


Delimitazione temporale e diffusione
Il termine rivoluzione, inizialmente indicante un moto circolare che torna su sé stesso, ha in seguito definito una rottura, un capovolgimento. Con il termine rivoluzione industriale si fa implicitamente riferimento a questo secondo senso. Il sistema produttivo che risulta dalla rivoluzione industriale è radicalmente differente rispetto al sistema precedente di tipo agricolo-manifatturiero. Alcuni storici minimizzano l'importanza degli avvenimenti identificati alla rivoluzione industriale sostenendo che le trasformazioni strutturali delle economie europee ebbero inizio già nel secolo precedente. Più che di una rottura si tratterebbe solo, per questi autori, di un'accelerazione di un processo già in corso. In Inghilterra, primo paese nel quale si assiste alla rivoluzione industriale, questo processo ha avuto luogo nella sua prima fase e secondo la delimitazione di Thomas S. Ashton (1756), fra il 1760 – anno d'inizio del regno di Giorgio III – e il 1830 – anno d'inizio del regno di Guglielmo IV. Questa prima rivoluzione industriale prende avvio nel settore tessile (cotone), metallurgico (ferro) ed estrattivo (carbon fossile). Il periodo vittoriano (1831-1901), nel quale avviene la seconda rivoluzione industriale (1850 ca.), sarà per l'Inghilterra quello dello sviluppo e dell'apogeo della propria economia, archetipo del sistema capitalista-industrializzato. La rivoluzione industriale si è poi estesa ad altri Stati, in particolare: Francia, Germania, Stati Uniti e Giappone fino a coinvolgere l'intero Occidente e, nel XX secolo, parte di altre regioni del mondo, prime fra tutte l'Asia. Ogni paese ha seguito un suo percorso verso la propria rivoluzione industriale e la stessa si è realizzata in modo differenziato. Così se in Inghilterra il processo prese avvio nel settore tessile, in altri paesi la rivoluzione industriale fu letteralmente trainata dall'introduzione della locomotiva (Thompson) a vapore. Anche il ruolo dello Stato varia da paese a paese: se in Inghilterra la rivoluzione industriale è sorta spontaneamente ed è stata alimentata dall'iniziativa (pur sostenuta e favorita da atti legislativi emanati dal Parlamento, come quelli relativi alle recinzioni e alle strade), in altri paesi lo Stato ha dato contributi maggiori e spesso determinanti. Altri storici, come Jean Gimpel sostengono persino l'esistenza di rivoluzioni industriali precedenti a quella sorta in Inghilterra alla fine del XVIII secolo. Nell'epoca feudale si sarebbero così realizzate rivoluzioni sostanziali delle tecniche agricole e industriali, basti pensare al ruolo dei mulini. John Nef sostiene l'esistenza di una rivoluzione industriale in Inghilterra già a partire dalla fine del XVI secolo e l'inizio del XVII secolo. La rivoluzione industriale si pone così fra rottura e/o continuità.



I fattori che determinano uno Stato industrializzato
Per dichiarare che un paese sta compiendo un processo di industrializzazione deve esserci una crescita del Pil (Prodotto interno lordo) più rapido dell’incremento demografico (deve essere positivo, ma non eccessivo). Nel caso inglese, la crescita del Pil va dal +2% al +4% all’anno, mentre l’aumento demografico annuale è del +1% circa. La crescita della popolazione industriale deve essere maggiore rispetto a quella degli altri settori (agricoltura e servizi). E il rapporto tra il numero di lavoratori e la quantità di prodotto deve essere in crescita (aumento della produttività). Per recuperare i fondi per l’apertura di nuove industrie è indispensabile lo sviluppo del commercio con lo scopo di accumulare capitali. Un altro fattore indispensabile è la Rivoluzione “Agricola”, ovvero la trasformazione della proprietà agraria consentendo l’espulsione della forza-lavoro dalla campagna con trasferimento in città (a lavorare nelle industrie). L’incremento demografico è un altro fattore utile per l’aumento della manodopera industriale (mantenuto sempre sotto la soglia del PIL). Questi ultimi due fattori, aumentando la forza-lavoro permettono un abbassamento dei prezzi, favorendo l'offerta.



I tre settori di Colin Clark
L'economista Colin Clark ha elaborato la legge dei tre settori (o di Colin Clark), che mette in relazione lo sviluppo di un'economia con la trasformazione della stessa: in un primo momento, corrispondente alla Rivoluzione industriale, si assiste alla diminuzione del peso nell'economia del settore agricolo e all'aumento del ruolo svolto dal settore industriale, che diventa il più importante per quota di prodotto e occupati; in una seconda fase si assiste al sorpasso del settore industriale da parte del terziario (detto così perché non rientra né nel primo settore, quello agricolo, né nel secondo, quello industriale). Il terziario è attualmente considerato il settore più importante dell'economia, e raggruppa nel suo insieme il commercio, il turismo, le consulenze (in tutti i campi a partire da quello bancario, i mass-media....).



Origini
Così come accade in molti processi storici, per la rivoluzione industriale non esiste una data di inizio certa, anche se l'invenzione cardine è quella del motore a vapore. Ogni mutamento profondo dell'economia è però influenzato dalle trasformazioni precedenti e così la Rivoluzione industriale viene considerata da alcuni studiosi come l'ultimo momento di una serie di cambiamenti che hanno trasformato l'Europa da terra povera, sottosviluppata e poco popolata all'inizio del Medioevo, nella zona più ricca e sviluppata del mondo nel corso dell'Ottocento. L'accumulo di capitale incamerato in seguito ai commerci e la disponibilità d’ingenti quantità di acciaio e carbone nei paesi del Nord, facilmente trasportabili attraverso una fitta rete di canali navigabili, resero possibili gli investimenti necessari alla creazione delle prime fabbriche. Da un punto di vista economico, l'elemento che caratterizza la Rivoluzione industriale è il salto di qualità nella capacità di produrre beni, cui si assiste in Gran Bretagna, a partire dalla seconda metà del Settecento. Più precisamente la crescita dell'economia inglese nel periodo 1760-1830 è la più alta registrata fino a quel momento. In altri paesi il processo d’industrializzazione è analogamente origine, in epoche successive, di elevati tassi di crescita dell’economia. Sostanzialmente, la Rivoluzione industriale ha costituito l'approdo a cui ha portato l'aumento di conoscenze scientifiche sul mondo naturale, e sulle sue caratteristiche, derivante dalla Rivoluzione scientifica.
Il Metodo scientifico di Galileo Galilei
Fu infatti il nuovo Metodo scientifico iniziato dall'italiano Galileo Galilei a portare ad un sensibile (e senza precedenti) aumento delle conoscenze che gli Europei avevano sulla natura, ed in particolar modo sui materiali e le loro proprietà. Condizioni particolarmente favorevoli nell'Inghilterra dell'epoca consentirono poi a tali conoscenze scientifiche di tramutarsi in conoscenze tecniche e tecnologiche, finché esse cominciarono ad essere applicate nelle prime fabbriche tessili e nell'industria siderurgica per una produzione di ferro ed acciaio che non ebbe paragoni nella precedente storia dell'umanità. Dal punto di vista tecnologico la Rivoluzione industriale si caratterizza, come già detto, per l'introduzione della macchina a vapore. Nella storia dell'umanità il maggior vincolo alla crescita della produzione di beni è, infatti, quello energetico. Per molti secoli l'umanità si trova a disporre soltanto dell'energia meccanica offerta dal lavoro di uomini e animali, e questo oltre a tutti i problemi che ne derivavano non dava la possibilità di incrementare la produzione essendo legati al lavoro manuale. La progressiva introduzione, a partire dal Medioevo, del mulino ad acqua e del mulino a vento rappresenta la prima innovazione di rilievo. L'energia abbondante offerta dalla macchina a vapore viene applicata alle lavorazioni tessili, rendendo possibile una più efficiente organizzazione della produzione grazie alla divisione del lavoro e allo spostamento delle lavorazioni all'interno di fabbriche appositamente costruite, nonché alle estrazioni minerarie e ai trasporti. Le attività minerarie beneficiano della forza della macchina a vapore nella fase di estrazione dell'acqua dalle miniere, permettendo di scavare a maggiore profondità, come anche nel trasporto del minerale estratto. I primi vagoni su rotaia servono a portar fuori dalle miniere il minerale, poi a portarlo a destinazione. Solo in un secondo tempo il trasporto su rotaia si converte nel trasporto di passeggeri. La rivoluzione industriale ha prodotto effetti non solo in campo economico e tecnologico, ma anche un aumento dei consumi e della quota del reddito, dei rapporti di classe, della cultura, della politica, delle condizioni generali di vita, con effetti espansivi sul livello demografico.



Perché in Inghilterra
Importante per la Rivoluzione industriale in Inghilterra fu l'agricoltura; infatti, l'Inghilterra fu la prima ad avere una agricoltura di mercato (non per auto-consumo ma per profitto) che, unita all'innovazione tecnologica, eliminò molta manodopera dalle campagne, facendola rifluire verso la città, dove troverà occupazione nella nascente industria. Ma il fenomeno delle enclosures, per cui molta terra demaniale lasciata al libero pascolo venne privatizzata e recintata, privò i contadini più poveri del libero diritto di pastorizia e li spinse a trovare nuovo impiego nelle fabbriche. La disponibilità ingente di manodopera a basso costo, unita alla grande disponibilità di carbone per alimentare le macchine a vapore, contribuì in maniera fondamentale al decollo industriale del paese. Inoltre l'Inghilterra si trova in una posizione geografica favorevole ai commerci nell'Oceano Atlantico, mentre la sua insularità le consentì una facile difesa dei propri confini, evitandole le periodiche devastazioni che, al contrario, dovette subire il resto dell'Europa per le svariate guerre sette-ottocentesche. Altro importante fattore è la rivoluzione agricola sviluppatasi nel corso del Settecento, che con sistemi di avanguardia come la rotazione triennale programmata delle colture agevolò lo sviluppo industriale e demografico.



Dinamica economica
Per spiegare come si sia passati da un sistema manifatturiero di tipo artigianale a uno di tipo industriale occorre considerare che la domanda di beni è aumentata in Inghilterra nel periodo che precede la rivoluzione industriale. Questo si deve sia alla crescita demografica sia al livello del reddito pro capite e dei salari, più elevato di molti paesi europei, sia alla domanda di beni inglesi proveniente dagli immensi territori coloniali: da cui proveniva, per esempio, il cotone grezzo della Virginia, che lavorato veniva rivenduto ovunque, compresi i territori coloniali. Il monopolio del commercio del thè consentì alla corona di incamerare cifre ragguardevoli. Si trattava, in pratica, di una domanda di beni di largo consumo, destinati a soddisfare bisogni elementari di crescenti masse di persone in patria e all'estero. La crescita della domanda favorì gli investimenti in impianti industriali e in macchinari, i quali, per essere convenienti, richiedono che la domanda di beni sia sostenuta. Tuttavia, in settori come il tessile il passaggio graduale delle lavorazioni, inizialmente di tipo artigianale, in un sistema di fabbrica ha permesso di compiere investimenti in maniera graduale, via via che erano accumulati i capitali necessari. È il caso dei canali navigabili e delle ferrovie, la cui costruzione si deve in buona parte all'iniziativa dei privati, indotti a investire in settori nuovi per soddisfare la domanda crescente dei corrispondenti servizi sociali.



Innovazioni tecnologiche
Le innovazioni tecniche coinvolsero le macchine utensili e le macchine motrici, le industrie tessili e l'industria pesante (metallurgia e meccanica). Quest'ultima divenne determinante nella metà del XIX secolo, in concomitanza con lo sviluppo delle ferrovie. La produzione domestica di tessuti era particolarmente lenta nella fase della filatura, poiché occorrevano cinque filatori per alimentare un solo telaio a mano. Lo squilibrio si accentuò intorno alla metà del XVIII secolo, quando i tempi della tessitura furono ulteriormente ridotti dalla diffusione della spoletta volante (brevettata nel 1733 da John Kay). Nella seconda metà del secolo, due importanti invenzioni modificarono ancor di più il panorama della tecnologia tessile: James Hargreaves inventò, nel 1765, la giannetta (o Spinning Jenny), mentre Richard Arkwright, nel 1767, il filatoio idraulico (o Water frame): la prima accelerava la filatura da 6 a 24 volte, il secondo addirittura di alcune centinaia di volte. Tutto ciò rese evidentemente obsoleti i telai a mano. Nel 1787 Edmund Cartwright inventò il telaio meccanico, che fu perfezionato e adottato nei decenni successivi: intorno al 1825, un solo operaio, sorvegliando due telai meccanici, poteva sbrigare un lavoro che con i telai a mano avrebbe richiesto l'opera di una quindicina di persone. Mentre in India per tessere a mano 100 libbre di cotone occorrevano oltre 100.000 ore di lavoro, in Gran Bretagna con le nuove macchine erano sufficienti circa 135 ore, il che aumentava anche la competitività. L'aumento della produzione di tessuti stimolò lo sviluppo dell'industria chimica, per rendere competitive le fasi di candeggiatura, tintura e stampa. Ben presto l'industria chimica divenne fondamentale per tutti i rami della produzione, sia industriale, sia agricola. Lo sviluppo industriale richiese quantità sempre maggiori di energia, ben superiori a quelle fornite dalla mano dell'uomo. La ricerca mirò quindi alla realizzazione di motori adeguati. James Watt (1736-1819) modificò la macchina a vapore, ottenendo un rendimento ben quattro volte superiore a quello delle precedenti vaporiere (1787). Nell'arco del XIX secolo, la macchina a vapore finì per affermarsi definitivamente anche in altri rami della filiera produttiva (ad esempio, nei trasporti terrestri e marittimi). Essa sostituì le tradizionali fonti di energia che presentavano il gravissimo inconveniente di non essere disponibili nelle quantità e nei tempi e luoghi richiesti (mulini ad acqua e a vento), o di non essere instancabili e adeguate alle nuove macchine utensili (energia muscolare dell'uomo e degli animali). Altro fattore decisivo fu l'abbondantissima ricchezza di giacimenti di carbone in Inghilterra: la macchina a vapore consentiva di produrre energia di una intensità e di una concentrazione senza precedenti. Con l'adozione del vapore la richiesta di ferro e di leghe adeguate subì un rapido incremento. All'inizio del XVIII secolo, un progresso decisivo nel campo della siderurgia, ancora nella sua fase preindustriale, era stato conseguito da Abraham Darby, che per la lavorazione dei minerali ferrosi aveva iniziato ad usare, anziché il carbone di legna, il coke, ossia l'antracite distillata a secco per eliminarne le sostanze che avrebbero inquinato i processi di fusione. Senza tale innovazione, la siderurgia avrebbe presto incontrato «i limiti dello sviluppo», perché l'uso tradizionale del carbone di legna avrebbe in breve tempo comportato la distruzione delle foreste. Poiché la combustione del coke negli altiforni doveva essere ravvivata da correnti d'aria assai più intense di quelle ottenibili dai vecchi mantici azionati dai mulini, fu necessario utilizzare a questo scopo proprio la macchina a vapore, che quindi trovò la sua prima applicazione in una fonderia. Tra il 1783 e il 1784 Henry Cort introdusse nella siderurgia la laminazione e il puddellaggio. Quest'ultimo consisteva nella purificazione dei minerali ferrosi mediante rimescolamento ad altissime temperature in presenza di sostanze ossidanti. La laminazione purificava ulteriormente il ferro e lo sagomava secondo le forme richieste, facendolo passare a forza attraverso i rulli di un laminatoio, che sostituiva il vecchio metodo di percussione sotto maglio e accorciava i tempi di ben quindici volte. Per ottenere barre, rotaie o travi bastava modificare la forma dei rulli. Processi analoghi a quelli svoltisi in Inghilterra fra il XVIII e il XIX secolo si riprodussero in tutti i paesi nei quali la rivoluzione industriale si affermò. Però, mentre in Inghilterra la rivoluzione industriale era stata il risultato di iniziative private non inquadrate in alcun piano o programma, altrove l'intervento statale ebbe una parte più o meno grande.



Impatto sociale dell'industrializzazione
La rivoluzione industriale comportò un generale stravolgimento delle strutture sociali dell'epoca, attraverso una impressionante accelerazione di mutamenti che portò nel giro di pochi decenni alla trasformazione radicale delle abitudini di vita, dei rapporti fra le classi sociali, e anche dell'aspetto delle città, soprattutto le più grandi. Fu infatti prevalentemente nei centri urbani, specie se industriali, che si avvertirono maggiormente i mutamenti sociali, con la repentina crescita di grandi sobborghi a ridosso delle città, nei quali si ammassava il sottoproletariato che dalle campagne cercava lavoro nelle fabbriche cittadine. Si trattava per lo più di quartieri malsani e malfamati, in cui le condizioni di vita per decenni rimasero spesso al limite della vivibilità. Una simile situazione, sia pure con diverse varianti e aspetti peculiari a seconda dell'epoca e dei Paesi industriali, si è protratta fino a tempi più recenti, e ha dato spunto per una vasta letteratura, politica, sociologica, ma anche narrativa. In Francia, ad esempio, fu Émile Zola a denunciare attraverso i suoi romanzi le miserevoli condizioni delle classi più umili nella Parigi dell'epoca, o ad esempio dei minatori, nel romanzo "Germinal". Prima ancora, in Gran Bretagna, Charles Dickens aveva più volte ritratto nei suoi romanzi una umanità disperata e incattivita dagli spietati meccanismi produttivi imposti dalla rivoluzione industriale. Nel verismo italiano è assente la realtà industriale, in quanto il meridione si poggiava essenzialmente su un sistema agricolo, sostituita dalla presenza di tanti personaggi di contadini oppressi e affamati dal monopolio della nobiltà rurale: Nedda, la ragazza protagonista della breve novella considerata uno dei massimi capolavori di Giovanni Verga, è un personaggio simbolo del disagio del Sud. In campo politico-filosofico è indubbio che siano state le condizioni umane e sociali delle masse operaie dell'epoca ad aver stimolato le opere di Karl Marx e Friedrich Engels, che avranno nel secolo successivo una fondamentale importanza nel panorama politico mondiale. Nonostante gli effetti spesso negativi sul proletariato urbano, dovuti alle iniziali condizioni di sfruttamento economico e di urbanizzazione incontrollata, la rivoluzione industriale a lungo andare ha permesso comunque di elevare le condizioni di benessere di una sempre più vasta percentuale della popolazione, conducendo già dalla fine del XIX secolo ad un generale miglioramento delle condizioni sanitarie (non è casuale che dalla rivoluzione industriale in poi l'Europa non abbia più conosciuto l'incubo della peste e delle carestie di tipo agricolo), un sensibile prolungamento della vita media degli individui, un estendersi della alfabetizzazione, la disponibilità per un maggior numero di persone di beni e servizi che in altre epoche erano totalmente preclusi alle classi più povere. Le numerose e importantissime novità tecnologiche hanno avuto un ruolo decisivo in tal senso. L'avvento, concentrato in pochi decenni, di grandi scoperte in campo scientifico e medico, e di invenzioni come la macchina industriale a vapore, la ferrovia, l'energia elettrica, l'illuminazione a gas e quella elettrica, il telegrafo, la dinamite, e nella seconda fase della rivoluzione, il telefono e l'automobile, ha rapidamente trasformato la vita della popolazione e coinvolto l'intero quadro sociale dei paesi industrializzati, modificando alla radice secolari abitudini di vita e contribuendo ad un rapidissimo cambio di mentalità e di aspettative degli individui. Anche i rapporti fra le classi sociali furono profondamente modificati: l'aristocrazia, già messa in crisi dalla Rivoluzione francese, perse definitivamente, con la Rivoluzione industriale, il suo primato, a favore della borghesia produttiva. Parallelamente si formò per la prima volta una vasta classe, che sarà definita da Karl Marx "classe operaia" che solo a distanza di decenni, lentamente e faticosamente, riuscirà a conquistare un suo peso sociale e politico nella vita dei paesi industrializzati. Da parte di alcune classi di lavoratori le innovazioni vennero viste come un concorrente alle loro specializzazioni, al quale si opposero con la nascita del luddismo verso il 1811, proponendosi di distruggere le macchine con la violenza.



La rivoluzione dei trasporti
Altro fattore scatenante della rivoluzione industriale fu quello della rivoluzione dei trasporti. Il sistema stradale in Francia fu ampliato a partire dal 1738 e nel 1780 contava già oltre 25.000 chilometri di strade costruite. Questo dimezzò i tempi di percorrenza, e facilitò quindi anche i trasporti. Importanti per l'approvvigionamento dei minerali e del carbon-fossile. Una soluzione analoga fu trovata anche per l'Inghilterra che però, al posto di costruire strade, costruì canali per la navigazione. Il primo canale inglese fu finito nel 1761 e, quarant'anni dopo, la rete dei canali era pari a 1000 chilometri. Le strade delle città furono dotate di una fitta rete di binari percorsi da tram a cavalli. Un'altra innovazione chiave fu la nascita della Ferrovia.



La Prima Rivoluzione Industriale
La Prima Rivoluzione Industriale iniziò in Inghilterra intorno alla metà del XVIII secolo (1700) e si diffuse, nel secolo seguente, in altri Paesi Europei e negli Stati Uniti d'America. Venne chiamata "rivoluzione" in quanto determinò un radicale cambiamento nei modi e nelle condizioni di produzione dei beni manifatturieri e in tutti i settori della vita economica e sociale. Fu grazie all'introduzione di innovazioni tecnologiche che si sviluppò un nuovo sistema di produzione. Nella primitiva industrializzazione (XVI - XVII secolo, 1500-1600), le attività manifatturiere erano sparse nelle campagne, nelle quali veniva sfruttata l'energia delle acque correnti per azionare i macchinari. Inoltre, a causa di questa dislocazione, il prodotto veniva preparato dalle donne nelle fattorie e ritirato da "proto-industriali" che si spostavano da una fattoria all'altra sia per ritirare il prodotto finito sia per distribuire la materia prima. Il nuovo sistema industriale, invece, prevedeva l'impiego di operai che lavoravano all'interno delle fabbriche e la sostituzione delle fonti di energia tradizionale (animali, vento e acqua) con fonti combustibili (carbone) che permisero l'introduzione delle macchine a vapore. Inoltre le macchine a vapore vennero applicate ai telai delle industrie tessili ed ai mantici delle fonderie sostituendo parte del lavoro umano e permettendo la realizzazione di prodotti a basso costo (economie di scala, economies of scale, in pratica la relazione esistente tra aumento della scala di produzione correlata alla dimensione di un impianto e diminuzione del costo medio unitario di produzione). In termini formali, è possibile rappresentare le economie di scala con una relazione semplificata tra costo (C) e quantità (q) del tipo (1): Cq=kq elevato ad h
dove k è una costante positiva e h è un parametro che rappresenta l'elasticità di costo ed è compreso tra 0 e 1, estremi esclusi. In base alla (1) la relazione costi-quantità non è lineare: i costi aumentano meno che proporzionalmente rispetto alla quantità. Si hanno economie di scala quando i costi medi unitari diminuiscono al crescere dei volumi di produzione o di vendita. Fenomeno economico in base al quale si determina una riduzione dei costi medi totali del prodotto a fronte di un aumento della quantità fabbricata e venduta. Ciò dipende dal fatto che più aumenta la produzione (venduta), i costi fissi (che non variano al variare della produzione ) vengono ripartiti su un maggior numero di prodotti ottenuti e venduti, il cui costo unitario (medio) tende a diminuire per effetto della diminuzione dell’incidenza dei costi fissi, in corrispondenza all’aumento della scala produttiva (aumento del volume della produzione ottenuta e venduta fino a lambire il massimo della capacità produttiva). Alla base di economie di scala vi possono essere fattori tecnici, statistici, organizzativi o connessi al grado di controllo del mercato.



Settore tessile e settore siderurgico
Dapprima i settori interessati dalla rivoluzione tecnologica furono quello tessile e siderurgico, ma ben presto le nuove tecniche interessarono tutti gli altri settori produttivi. Nell'ambito del settore tessile l'applicazione delle macchine a vapore, assicurò produzioni continue di filati e tessuti e promosse il settore chimico per la produzione di sbiancanti e coloranti. Abraham Darby 1°, nel 1709 nella valle del Severis, operò la prima fusione del ferro con il carbon coke in sostituzione del tradizionale carbone di legna, mentre suo nipote Abraham Darby 3°, nel 1779, costruì il primo ponte interamente in ferro, considerato in quel tempo un prodigio di ingegneria e ritenuto oggi uno dei monumenti più significativi della Rivoluzione Industriale. Abraham Darby 1° è stato un imprenditore inglese, pioniere dell'industria siderurgica ed il primo di una dinastia di fonditori che hanno caratterizzato il primo periodo della rivoluzione industriale inglese e la storia della siderurgia. Abraham Darby 1° è ricordato in particolare per essere stato il primo ad ottenere la ghisa da minerali di ferro utilizzando non più carbone di legna ma carbon fossile sia pure preventivamente trattato sottoforma di carbon coke. In effetti nel XVIII secolo lo sviluppo della siderurgia era frenato in tutta Europa dalla carenza di combustibile che derivava dall'esaurimento delle foreste poste in prossimità delle fonderie e dall’impossibilità di impiegare carbone fossile per il suo eccessivo contenuto di zolfo. Dopo vari tentativi effettuati da vari pionieri di utilizzare il carbon fossile, Abraham Darby 1° fu il primo che intuisce che era necessario trattarlo, per poterlo utilizzare nei processi siderurgici. La cokizzazione attraverso il riscaldamento permette di eliminare parte dello zolfo. Il trattamento somiglia alla tecnica impiegata per il carbone di legna: il carbone fossile, all'interno di forni, viene coperto con terra dopo aver innescato la combustione. Il calore sviluppato depura il carbone rimasto dallo zolfo attraverso l'eliminazione degli elementi volatili. Darby, che inizia la sua attività a Bristol, utilizza questo combustibile nel processo di produzione del rame e del piombo e poi, nel 1709 a Coaldbrookdale, nel Shropshire, lo impiega per il minerale di ferro. Questa innovazione, non fu accolta immediatamente dall'industria a causa di iniziale maggior costo, eccesso di silicio nella ghisa ed altre difficoltà tecniche, tanto che la fusione con il coke rimane al 5% della produzione fino al 1750. Lo sviluppo del suo metodo porterà alla tecnologia degli altoforni alimentati a coke che tutt'ora è quella utilizzata. Il figlio Abraham Darby II (1716-1763) segue le orme del padre sviluppando la fonderia di Coalbrookdale. Migliora i metodi di produzione dell'acciaio a partire dalla ghisa. Diviene il fornitore di Thomas Newcomen per la fabricazione delle prime de macchine a vapore.



Aspetti sociali
La Prima Rivoluzione Industriale ebbe notevoli ripercussioni sociali in quanto accompagnò tutta una serie di profonde trasformazioni nell'economia e nella vita sociale. L'aumento demografico creò la nascita della città industriale, che si popolò di artigiani e contadini che abbandonarono le campagne per lavorare nelle fabbriche dando origine al fenomeno dell'inurbamento. Si costruirono alle periferie delle grandi città abitazioni fatiscenti e insane, prive di servizi igienici. Il lavoro subì una radicale trasformazione: nelle fabbriche all'operaio non era richiesta una particolare capacità come invece era richiesta all'artigiano; inoltre la lavorazione a catena costringeva il lavoratore ad atti ripetitivi e stressanti per 12 - 14 ore giornaliere, in capannoni umidi per il vapore acqueo accumulato e scarsamente arieggiati.
La società si divise nettamente in 2 ceti:
- Capitalisti (alto-borghesi ricchi, proprietari delle fabbriche)
- Proletari (ricchi di prole, con bassi salari e privi di tutela nel rapporto di lavoro)
Si diffuse così il Lavoro infantile specialmente nelle fabbriche dove i piccoli per la loro minuta costituzione potevano infilarsi in spazi angusti (es: pulizia di cunicoli, pulizia di parti interne di macchinari oppure per tenere in funzione i telai anche quando la lavoratrice adulta si assentava per il pranzo, perché era meno dispendioso per il padrone pagare un bambino che spegnere e riaccendere la macchina)



La Seconda Rivoluzione Industriale
Anche la Seconda Rivoluzione Industriale è destinata a durare un secolo prolungandosi fino agli anni '70 del '900, si apre con l'avvio dell'industrializzazione in nuovi paesi, innanzitutto Germania, Giappone e Italia, e con l'ascesa degli Stati Uniti a potenza regionale in America, mentre l'europeizzazione del mondo si completa attraverso l'ultima fase coloniale, chiamata dagli storici età dell'imperialismo . All'epoca la potenza egemone è la Gran Bretagna, la cui moneta, la sterlina, è comunemente accettata accanto all'oro nel regolamento delle transazioni commerciali internazionali (gold exchange standard). A cavallo tra XIX e XX secolo si consolida il predominio dell'industria pesante (la produzione d'acciaio aumenta di quasi 80 volte tra il 1880 e il 1913), si sviluppa l'edilizia grazie all'introduzione del cemento armato (1893), e sono poste le basi di un nuovo slancio economico da una raffica d'innovazioni tecnologiche: dal motore a scoppio all'automobile (1884-85), dal telefono (1871-76), alla lampadina (1879), al telegrafo senza fili (1897), all'aeroplano (1903). Il passaggio dall'economia agricola a quella industriale è rilevato dai conti economici americani già a fine '800 (tab. 3.4.1), quando in aggiunta diventa evidente la tendenza alla contemporanea espansione del terziario. Tra i settori trainanti del nuovo ciclo economico, emergono l'industria chimica, quella elettrica, la metalmeccanica, quest'ultima orientata alla produzione di beni di consumo di massa: macchine per cucire, elettrodomestici, automobili. Come fonte d'energia, il carbon fossile è gradualmente soppiantato dal petrolio, i cui consumi sono indotti inizialmente dall'avvento di nuovi mezzi di trasporto, quali gli autoveicoli e gli aerei.La diffusione di tali mezzi genera inoltre la domanda di nuove infrastrutture (strade asfaltate, gallerie, viadotti, aeroporti), che a sua volta si riverbera sul comparto delle opere pubbliche, sull'industria delle costruzioni e sulla siderurgia. Dalla siderurgia parte negli Stati Uniti, nel 1911, mondiale, la tendenza a intensificare i ritmi della produzione industriale tramite la cosiddetta "organizzazione scientifica del lavoro" (nota anche, dal nome del suo ideatore, come taylorismo) consistente in una parcellizzazione sempre più spinta delle mansioni manuali, per cui ciascun operaio compie pochi e semplice movimenti nella catena produttiva. Questa divisione del lavoro s'interseca con le innovazioni organizzative introdotte nell'industria automobilistica, sempre americana, da Henry Ford nel 1912-13 ( standardizzazione dei componenti, catena di montaggio e produzione in serie), ponendo le basi dello sviluppo industriale, ma non solo, di gran parte del '900. Di fatto, il processo di razionalizzazione produttiva investe anche l'agricoltura: l'impiego di macchine agricole e del trattore, che inaugurano la meccanizzazione, la motorizzazione delle campagne, e l'introduzione su larga scala di applicazioni chimiche (fertilizzanti, pesticidi, diserbanti) e biologiche (ibridi vegetali e animali) tendono sempre più ad assottigliare le differenze tra azienda contadina e azienda industriale. Tra le guerre mondiali, ma soprattutto nel secondo dopoguerra la commistione tra capitali industriali e finanziari favorisce la centralizzazione e la concentrazione delle imprese, con la conseguente formazione di colossi industriali un po' in tutti i comparti, ma soprattutto in quello chimico e automobilistico, gettando le premesse di quelle che diverranno le multinazionali di fine secolo (figure 3.4.1 e 3.4.2).L'insieme di questi e altri fattori, mentre determina l'avvento della società di massa, quindi della cosiddetta civiltà dei consumi, produce un accentuato gigantismo urbano, che coincide nella sua fase più avanzata con la nascita delle megalopoli, come si è visto nel capitolo 3.3.Nel frattempo i connotati geoeconomici e politici del pianeta sono profondamente mutati. La decolonizzazione ha creato una fascia di paesi in cui si evidenziano i forti squilibri demografici, economici e territoriali generatisi lungo il processo d'industrializzazione. Il consolidamento del primato degli Stati Uniti coincide con lo sganciamento del dollaro, la nuova moneta internazionale, dall'oro (1971), mentre all'alternarsi di politiche commerciali protezioniste e liberiste, che ha connotato gran parte del '900, subentra un'epoca di progressiva liberalizzazione degli scambi e dei movimenti di capitali, preludio del mercato globale.



La terza rivoluzione industriale
La terza e ultima fase del processo d'industrializzazione, quella in cui viviamo, collima con le grandi trasformazioni economiche, sociali e politiche maturate tra gli anni '70 e '90 del '900 e che abbiamo richiamato nella prima sezione del libro. Vi sono tuttavia alcuni aspetti del processo in corso ai quali abbiamo appena accennato e che qui giova riprendere e sottolineare. Un primo aspetto riguarda la diffusione dell'industrializzazione. La comparsa della pattuglia dei NIE, i nuovi paesi industriali, è solo la manifestazione di un fenomeno più esteso che sta lentamente, ma decisamente, allargando le basi del sistema industriale contemporaneo. D'altro canto, la terziarizzazione delle economie avanzate indica un cambiamento epocale nella composizione delle risorse umane, caratterizzato dal prevalere del lavoro intellettuale su quello manuale e, in ambito produttivo, dal crescente peso come fonti di valore aggiunto delle attività economiche immateriali (R&S, innovazione tecnologica e scientifica, arte, spettacolo, intrattenimento, informazione, turismo, cultura) rispetto alla produzione di beni materiali.Ciò é dovuto, oltre che al miglioramento del tenore di vita e alla maggiore ricchezza sociale accumulata nell'era industriale, all'onda lunga degli investimenti nel campo della formazione e dell'istruzione attuati nei paesi industriali fin dal periodo a cavallo tra prima e seconda rivoluzione industriale.Anche nella produzione di beni materiali sono avvenuti significativi mutamenti. I progressi più rilevanti si registrano in settori di punta ad alto contenuto di know how (elettronica, informatica, robotica, aerospaziale, farmaceutica e bioingegneria, nuovi materiali ecc.), che non a caso sono diventati uno dei terreni d'elezione delle multinazionali. Cambiamenti sono intervenuti anche nel modo di produrre. Proprio nell'industria automobilistica, che per prima l'aveva sperimentata, la catena di montaggio cede il passo alla lean production, la produzione leggera, nota anche come toyotismo, dal nome della multinazionale giapponese Toyota, che l'ha introdotta all'inizio degli anni '80 del '900. Ideato dall'ingegnere Taichi Ohno, il nuovo sistema funziona attraverso isole di produzione, composte da tecnici e operai, che concorrono tra loro nella migliore realizzazione integrale del prodotto loro assegnato, dall'esecuzione materiale ai controlli e alle revisioni finali, sulla base degli ordinativi che la fabbrica riceve dalle filiali. Presupposti del sistema sono il principio del just in time, produrre cioè in base alle ordinazioni evitando di accumulare scorte di magazzino (la qual cosa comporta un interazione continua tra produzione e distribuzione) e la qualità totale, ossia la possibilità di apportare miglioramenti al prodotto sia nella fase di realizzazione, sia in sintonia con le esigenze della clientela. La stessa dimensione transnazionale delle nuove imprese libera in gran parte gli apparati produttivi da vincoli territoriali ben definiti, propri delle precedenti fasi industriali, influendo sia sul decongestionamento insediativo degli spazi urbani, sia sulla despecializzazione degli spazi rurali, che tendono sempre più a funzionare come articolazioni di un unico continuum rural-urbano. Cambiano infine gli assetti sociali, sia per l' accresciuta mobilità internazionale delle informazioni e delle persone, che sta gettando le basi di una società interculturale e multietnica, sia per l'ascesa dei ceti medi, portatori di stili di consumi e di vita relativamente uniformi da un capo all'altro del pianeta.
La Terza Rivoluzione Industriale
Negli anni successivi la Seconda Guerra Mondiale iniziò la Terza Rivoluzione Industriale. Le aree statunitensi, non sconvolte dallo scontro degli eserciti, avevano conosciuto un periodo di benessere già durante la guerra, favorite dall'intensa produzione bellica avviata dal governo americano. Le aree europee, invece, dovettero affrontare seri problemi di ricostruzione e si affidarono ad organismi associativi comunitari, come le Comunità Europee, antesignane dell'Unione Europea. La CEE realizzò la formazione di un gran mercato unico europeo e, contemporaneamente, avviò apposite politiche regionali per il sostegno delle regioni economicamente più deboli. La terza rivoluzione industriale portò alla scoperta e all’utilizzo di nuove fonti energetiche come l’atomo, gia usato nelle bombe atomiche del 1945 sul Giappone, all’energia solare, del vento, prendendo spunto dai mulini, all’aumento del consumo del petrolio e all’invenzione della plastica da parte di Moplen. Oltre a queste invenzioni si creò la I.A., cioè l’intelligenza artificiale assemblata ai robot. La Terza Rivoluzione Industriale si avviò a partire dal 1950, cioè subito dopo la seconda guerra mondiale. Si ebbero diverse conseguenze: L’innovazione tecnologica, con la nascita del computer, dei robot, della prima navicella spaziale, dei satelliti. Con la nascita dei computer si propagò internet, una rete informatica ideata nel 1969 da un gruppo di scienziati e ricercatori americani i quali, su iniziativa del Ministero della Difesa degli Stati Uniti, elaborarono un circuito di comunicazione per fini militari in grado di resistere agli effetti di un bombardamento atomico. Esso collegava quattro università: Stanford, Los Angeles, Santa Barbara e Utah. Nel 1985 Internet si trasformò in un servizio di massa. Fino al 1997/98, i provider facevano pagare un prezzo, sotto forma d’abbonamento annuo, a tutti coloro che volevano collegarsi. Ma forse la novità più sconvolgente, la possiamo cogliere nell’avvento dell’informatica. Non c’è campo della vita umana che non sia stato o non sia sempre più attraversato dell’informatica. L’invenzione dei robot è una conseguenza dell’informatica, con cui si comandano. La prima navicella spaziale fu costruita dagli americani e partì nel 1969 con destinazione la luna. Oltre alla navicella nello spazio furono mandati tantissimi satelliti. Grazie ai satelliti possiamo assistere in diretta a fatti nel momento stesso che accadono a migliaia di chilometri di distanza. Il primo satellite lanciato fu lo Sputnik sovietico, nel 1957, e dopo ebbe inizio l’invio nello spazio di satelliti con funzioni scientifiche e civili anziché militari. Nel 1960 gli Stati Uniti lanciano il primo satellite meteorologico, il Tiros I con lo scopo di trasmettere alla terra dati riguardanti i movimenti nuvolosi attorno al pianeta ed eventuali cicloni. Nel campo spaziale e della ricerca astronomica si possono infine annoverare le varie sonde, sia americane (Mariner e Viking), sia sovietiche (Salijut). L’uso dei satelliti (il primo, l’Echo I è lanciato nel 1960) risolve il problema delle telecomunicazioni. Sono strumenti collocati in orbita geostazionaria e funzionano da ripetitori per segnali radio televisivi e telefonici. L’ utilizzo dell’energia atomica per usi energetici, a svantaggio del petrolio, e non militari ma vi è un grande inquinamento perché la fissione dell’atomo produce scorie radioattive che non facili da smaltire. Vi fu inoltre un allargamento del mercato che portò alla cosiddetta globalizzazione e la nascita di multinazionali, cioè industrie che si ”vede” investiti capitali di altre persone, “estranee” a quella. Gli aspetti negativi della terza rivoluzione industriale fu l’aumento della disoccupazione per il forte aumento di robot in fabbriche e per questo, anche oggi, non si trovano posti di lavoro a lungo termine e sicuri. Dopo il gran boom all’avvio della terza rivoluzione industriale si ebbe una crisi, che tuttora persisté ancora e a pagarne le conseguenze furono gli operai.

Schema riassuntivo degli eventi delle Rivoluzioni Industriali Fasi storiche Caratteri principali
I° Rivoluzione Industriale: 1770-1870. Utilizzo del vapore per controllare le macchine durante l'estrazione dei metalli. Uso della prima forma di automazione: il motore a vapore che sostituiva la forza animale.
II° Rivoluzione Industriale: 1870-1970. Uso del petrolio per alimentare le macchine; imbrigliamento dell'energia elettrica per automatizzare il settore industriale. In questa fase si denota ancora di più lo spostamento dell'attività economica dall'uomo alla macchina.
III° Rivoluzione Industriale: 1970-2010. Organizzazione delle attività economiche della società. Dominio della mente: uso di macchine a controllo numerico, software più potenti e sofisticati e Rete Internet.

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